31/07/2017   Venticinque anni fa la vittoria di Daniel Plaza a Barcellona






Oggi ricorre il 25° anniversario della vittoria di Daniel Plaza ai Giochi Olimpici di Barcellona.

Roberto Alvarez di El Pais gli dedica questo bellissimo articolo.

 


 

La gloria e la miseria, l'estasi e il dramma, il tutto in pochi metri, dopo aver marciato per più di 19 chilometri. Daniel Plaza non dimenticherà mai l'esplosione di gioia alla sua entrata nello stadio Olimpico il caldo pomeriggio del 31 luglio, 1992 condito con un tasso di umidità del 89%. 25 anni dopo, in silenzio, con le tribune vuote, in abiti civili, con i brividi: "Uff, ho ancora la pelle d'oca". Il trionfo colmava una passione, premiando gli sforzi di una parte di ivita, ha aperto le porte a una gioia straripante, quella del profeta nella sua terra.
 
E c'era di più. Jordi Llopard, figlio di Mosè, il suo allenatore, della stessa scuola dei campioni a El Prat, molto vicino allo stadio di Montjuic, lo aveva sfidato. "Dani, se si vuole fare la storia devi essere il primo. Se non lo fai, io sarò sempre avanti a te", gli ripeteva il marciatore che aveva vinto la prima medaglia d'oro per l'atletica spagnola e anche un oro europeo (Praga 1978) e la prima medaglia ai Giochi (argento a Mosca 1980). L'unico modo per batterlo sarebbe stato quello di vincere il primo oro per l'atletica spagnola ai Giochi.
E vi riusci. "Mai nei miei sogni più reconditi avrei pensato che stava per accadere a me," sospira.
Sua madre aveva però un aiuto supplementare di fiducia. "Era una devota di Maria Immacolata. Metteva sempre delle candele quando ero in gara. Quel giorno ne mise due a casa nostra, a El Prat. E quando era nel circuito, in procinto di iniziare la gara, cominciò a temere che le aveva lasciate bruciare accanto alle tende. Mandò quindi mio padre a vedere che non trovasse un incendio. Così mio padre non riuscì a vedere la gara fino alla fine. Salì la collina di Montjuïc correndo. La gente, gli abitanti del villaggio della Zona Franca e gli agenti di sicurezza che lo conoscevano, gridavano "Questo è il padre di Dani!, È suo padre!", affinchè potesse essere lasciato passare. E' venuto quasi in tribuna stampa ad abbracciarmi." E' stata un'estasi.
 
Il dramma era avvenuto minuti prima. Plaza però se ne rese conto solo molto più tardi. Valenti Massana era stato squalificato nei pressi dello stadio, quando accarezzava la medaglia d'argento. "Mi ero girato un po' prima di entrare allo stadio per vedere se potevo marciare tranquillo gli ultimi metri." Dov'è? Mi sono chiesto. Eravamo negli ultimi 800 metri. sapevo che, a seconda di come avessimo raggiunto l'entrata nelllo stadio, se fossimo arrivati allo sprint mi avrebbe battuto. C'era un margine di 10 secondi di distacco ed era abbastanza. Io e lui ci giocammo in volata a volte altre gare. A volte ha vinto e lui, a volte, come quest'anno era già accaduto, avevo vinto io, anche se le nostri gare di solito non si decidevano negli ultimi 500 o 1.000 metri."
 
La squalifica è la grande paura dei marciatori. Un piede un po' più alto di quanto possibile può significare la fine. Nel caso di Massana, in un evento come le Olimpiadi, a casa propria, la squalifica è stata tragica.  Dopo la salita del Montjuïc, poco prima dell'entrata nella galleria accesso allo stadio è stato fermato per la terza proposta di squalifica. Addio alla medaglia del sogno. "Avevo ricevuto un avviso, ma la verità è che non ero preoccupato", dice Plaza. "Avevamo lavorato molto sulla tecnica perché io, ai Campionati Mondiali un anno prima, ero stato squalificato dopo essere arrivato terzo. Forse essendo in due spagnoli non ci avrebbero permesso arrivare insieme. E quando si è uno vicino all'altro è più facile fare un errore. Di giro d'onore non ne avevo ancora sentito parlare. Ho pensato che avrei potuto subito uno svenimento".
 
Plaza e Massana sono stati condannati ad essere acerrimi rivali. Erano i due migliori spagnoli e sono stati tra l'elite mondiale. "I titoli si decidevano da quello che avremmo potuto fare in gara. Ma abbiamo imparato a separare la parte competitiva dal personale. Spesso ci siamo allenati insieme e penso che siamo riusciti ad andare d'accordo."
In realtà, Plaza è rimasto con Massana lo scorso 30 giugno presso il Serrahima, accanto allo stadio, a conversare come hanno testimoniato il Meeting Ciutat de Barcelona. "Cerchiamo di passare il tempo raccontando le nostre battaglie. Abbiamo fatto gare in cui ci siamo aiutati." Mi ricordo la finale della Coppa del Mondo a Monterrey nella quale era scappato in avanti un gruppo e Valenti mi ha detto, "Aspetta, aspetta, crollano, vedrài". Aspettammo, e alla fine lui è arrivato secondo e io quarto. Ma nei Giochi Olimpici entrambi abbiamo fatto la nosta tattica e se si doveva lasciare alle spalle l'altro, lo si avrebbe lasciato."
 
 
La chiave di volta, quel giorno di 25 anni fa, si era verificata al chilometro 14. "Lì sono stato in grado di prendergli circa 10 secondi", dice il campione olimpico. "Stavamo giocando con il colore delle medaglie perchè eravamo rimasti solo in tre. A Valenti poi è accaduto quello che è accaduto. Con lui, di Barcellona non abbiamo mai più parlato. Per me è stato molto importante. Lui ha subito quello che è successo in quel momento e il gioco lì era fatto. Ha vinto poi il Campionato Mondiale dell'anno successivo".
 
 
 

 

 
(ndr)
Chi scrive era esattamente lì a cinque metri da dove si consumò il sogno di Massana.
Anche per me era la prima Olimpiade. Un sogno avverato.
 
 
 
 
 
 
(Version Espanola)
 
 
 
 
Gloria y miseria, éxtasis y drama, todo en unos metros, después de haber marchado durante más de 19 kilómetros. Daniel Plaza no olvidará jamás la explosión de júbilo que provocó su entrada en el Estadio Olímpico la calurosa tarde del 31 de julio de 1992, aderezada con una humedad del 89%. 25 años después, en silencio, la grada vacía, vestido de calle, se estremece: “¡Uff!, todavía se me pone la carne de gallina”. El triunfo colmaba una pasión, recompensaba los esfuerzos de media vida, abría las compuertas a una alegría desbordante, la del profeta en su tierra.

 

Y aun había más. Jordi Llopard, el hijo de Moisés, su entrenador, el mismo que había creado escuela y tutelado campeones en El Prat, muy cerquita del Estadio de Montjuïc, le había desafiado. “Dani, si quieres hacer historia tienes que quedar primero. Si no, siempre estaré por delante”, le repetía el marchador que había obtenido la primera medalla de oro per l’atletica spagnola e un oro Europeo (Praga 1978) y también la primera medalla en unos Juegos (plata en Moscú 1980). La única manera de superarle era ganar el primer oro del atletismo español en unos Juegos. 

Lo consiguió. “Ni en mis mejores sueños pensaba que eso me iba a suceder a mí”, suspira.Su madre confiaba en él y en una ayuda extra. “Era devota de María Inmaculada. Le ponía velas cuando yo competía. Ese día le puso dos, en nuestra casa, en El Prat. Y cuando ya estaba en el circuito, a punto de dar inicio la prueba, empezó a temer que se las había dejado encendidas al lado de las cortinas. Envió a mi padre para que lo comprobara, no fuera a producirse un incendio. Así que mi padre no pudo ver la carrera hasta el final. Subió la cuesta a Montjuïc corriendo. La gente, los vecinos del pueblo que le conocían y los encargados de seguridad, iban gritando ‘¡Que es el padre de Dani!, ¡que es su padre!’, para que le permitieran pasar. Llegó prácticamente a la sala de prensa para abrazarse conmigo”. Fue el éxtasis.

 

El drama se había producido minutos antes. Plaza no se dio cuenta hasta mucho después.  Valenti Massana  fue descalificado muy cerca del estadio, cuando acariciaba, al menos, la medalla de plata. “Yo me giré un poco antes de entrar en el estadio para ver con qué tranquilidad podía recorrer los últimos metros. ‘¿Dónde está?’, me pregunté. Lo estuve buscando durante los últimos 800 metros. Yo entendía que, depende de cómo llegásemos al final, podía esprintar y ganarme. Había un margen de 10 segundos, que en nuestra prueba es bastante, pero cabía esa posibilidad. Él y yo habíamos esprintado a veces en otras pruebas. A veces ganó él y a veces, como el año siguiente, yo, aunque normalmente nuestras pruebas no se deciden en los últimos 500 o 1.000 metros”.

 

La descalificación es el gran temor de los marchadores. Un pie un poco más arriba de lo debido puede fundirles. En el caso de Massana, en una prueba como los Juegos, en casa, la descalificación fue trágica. Subiendo los temibles 800 metros hacia Montjuïc, poco antes de la entrada al túnel de acceso al estadio, fue amonestado por tercera vez. Adiós a la medalla más soñada. “Yo recibí un aviso, pero la verdad es que no iba preocupado”, relata Plaza. “Habíamos trabajado mucho la técnica porque a mí, en el Mundial de un año antes, me descalificaron después de haber llegado tercero. Siendo los dos españoles posiblemente no nos iban a dejar llegar juntos. Y cuando vas emparejado es más fácil cometer un error. Di la vuelta de honor y todavía no me había enterado. Pensé que podía haber sufrido un desfallecimiento”.

 

Plaza y Massana estaban condenados a ser rivales acérrimos. Eran los dos mejores españoles y estaban en la élite mundial. “Los títulos se decidían por lo que pudiéramos hacer nosotros. Pero supimos separar la parte competitiva de la personal. Muchas veces entrenábamos juntos y creo que lo hemos sabido llevar bien”. De hecho, Plaza quedó con Massana el pasado 30 de junio en el Serrahima, junto al Estadio, para departir mientras presenciaban el Mitin Ciutat de Barcelona. “Intentamos no pasarnos el rato contando batallitas. Hicimos competiciones en las que nos ayudamos. Recuerdo la final de la Copa del Mundo de Monterrey en la que escapó un grupo y Valentí dijo: ‘Espérate, espérate, que van a caer, ya verás’. Esperamos, y al final él quedó segundo y yo cuarto. Eso sí, en los Juegos cada uno hacía su táctica y si tenías que dejarlo atrás, lo hacías”.

 

La clave aquel día de hace 25 años se produjo en el kilómetro 14. “Ahí fui capaz de sacarles unos 10 segundos”, cuenta el campeón olímpico. “Nos jugábamos el color de las medallas porque solo quedábamos tres. Luego con Valentí pasó lo que pasó. Con él, de Barcelona no hemos hablado nunca. Para mí es muy importante. Él asumió lo que sucedió en su momento y ya está. Y ganó el Mundial del año siguiente”.

 
 
 

 

 
(Edn)
El escritor estaba justo allí a cinco metros de donde se consumía el sueño de Massana.
Para mí fue la primera Olimpiada. Un sueño hecho realidad.