02/05/2019   La scelta più difficile






Premessa
 
Domenica scorsa a Mariano Comense siamo stati “tirati per la giacchetta” in una discussione più di spessore famigliare che sportivo.
L'argomento: se un genitore deve continuare ad allenare il proprio figlio quando quest’ultimo ha bisogno di un “salto di qualità” che il genitore stesso riconosce di non essere capace di dare.
 
L’argomento era reale: in pista giravano tre o quattro atleti e sugli spalti si sentivano le incitazioni ed i consigli tecnici di persone che presupponiamo siano state dei parenti.
Si udiva: "Dai che vai forte, allunga". Ma intanto chi gridava non si accorgeva che il tabellone delle squalifiche era molto precario.
Situazione tipica del più grande problema che insorge con un padre/madre allenatore e il giudice.
 
Era da tempo che Marcia dal Mondo pensava ad una news su questo argomento. Abbiamo pertanto chiesto ad un allenatore che va per la maggiore di offrirci il suo contributo al riguardo.
 
Lo ringraziamo e rispettiamo la sua decisione dell’anonimato.
 
 

 

 
La scelta più difficile: allenare i figli o affidarli ad uno specialista
 
Genitori che allenano i figli, tema quanto mai ‘scivoloso’; un argomento che pone in evidenza la complessità di un doppio ruolo: quello appunto del genitore e quello del tecnico (che è comunque un educatore).
 
La storia dello sport, quella italiana e quella internazionale tout court, offre una miriade di narrazioni suggestive, relative a vicende di padri – o anche madri – che allenano i propri figlioli. Storie talvolta tormentate, di pressioni psicologiche soverchie e di successi che entrano nel mito, come l’esperienza di Andre Agassi, raccontata da lui stesso nel best seller “Open”.
 
Verrebbe da dire: almeno Agassi si è realizzato come campione. Ma di Andre Agassi ce n’è uno.
 
Non si può escludere che esistano anche binomi genitore-allenatore/figlio-atleta vincenti, sia sul piano dei risultati sportivi che su quello più difficile dell’armonia educativa finalizzata alla crescita della persona. È il caso di Giorgio e Tania Cagnotto, dove il primo, papà di Tania e secondo miglior tuffatore italiano di ogni tempo, ha sempre saputo contemperare in modo perfetto il ruolo di tecnico e quello genitoriale. Ma, anche qui, si potrebbe dire che di Giorgio Cagnotto ce n’è uno.
 
In questa sede, però, non voglio scrivere se sia più o meno opportuno essere allenatori dei propri figli. Piuttosto vorrei ragionare sulla necessità di operare una scelta, difficile, da parte del genitore-allenatore, ove si riconoscano i propri limiti tecnici, o di tipo emotivo-psicologico, nella relazione con il figlio/a-atleta dal talento limpido.
 
In Italia è assai frequente che l’allenatore non esperto si leghi visceralmente al giovane talento che è il prodotto del suo vivaio; tanto visceralmente da "imprigionarlo" nella gabbia delle proprie ambizioni – talvolta sono vuoti esistenziali da colmare con i successi dei ragazzi che allena e che ha visto crescere. Rari sono i casi in cui avviene un passaggio di consegne, quando l’allenatore meno esperto e competente affida il "suo" giovane atleta ad un allenatore specialista di chiara fama.
 
Qualcuno potrebbe obiettare, giustamente, che così facendo i tecnici meno esperti non matureranno mai le competenze necessarie per il cosiddetto alto livello. È altrettanto vero che fare esperienza sulla pelle di giovani talenti, col rischio di perderli ancor prima che cominci la loro carriera sportiva (quella che conta, dai 20 anni in su), è il “delitto” più grande che possa essere perpetrato ai danni di un sistema sportivo già debole.
 
Amo immaginare un progetto per l’alto livello nello sport dove i tecnici di base o meno esperti, una volta affidati i loro talenti ad allenatori specialisti di comprovata esperienza internazionale, possano ‘andare a bottega’ da questi ultimi; e ciò avrebbe una duplice ricaduta positiva: rendere meno traumatico possibile il cambiamento nella vita sportiva (e non solo) del giovane atleta, e offrire opportunità formative di qualità per il tecnico di base.
 
Da allenatore della marcia ritengo che le problematiche fin qui espresse riguardino, drammaticamente, anche il mio ambiente.
 
Mi piace questa bellissima frase apparsa su un cartello in una palestra di una società:
«Cari genitori, ricordate che l’allenatore ha il compito di allenare, l’arbitro di arbitrare, il bambino di giocare. Il vostro campito è quello di incitare la squadra, quindi non pensate ai consigli tecnici. Divertitevi anche voi»