25/06/2019   Oggi siamo tutti Mirella Giancaspro, Alessandro Martellacci, Egidio Massafra e Giovanni Molè






Il 1 aprile 2017 titolavamo, e concludevamo, il nostro report sull’edizione della tappa del Challenge di Rio Maior con la frase: “Oggi siamo tutti Ines Henriques”.

Era il giusto tributo ad una atleta nella giornata che portava a termine perla 100° volta una 20km in meno di 1:40:00.

Sperava, voleva vincerla, Ines Henriques quella 20km che invece fu appannaggio della bella peruviana Kimberly Garcia. Non riuscì nemmeno a salire sul podio. Fu quarta. Immaginiamo la sua frustrazione davanti al suo pubblico in quella giornata particolare; quando la incontrammo ci sorrise ma gli occhi erano velati di una tristezza difficile da raccontare.

 

Se il 1.4.2017 eravamo tutti Ines Henriques per il fair play con il quale affrontò quella difficile gara, seguito anche da un ancor più difficile post gara, oggi ci è ritornato mente questo esempio per un fatto che avevamo deciso di non commentare, accaduto questo fine settimana e che fa da contraltare negativo a quel primo aprile.

Qualcuno però ci ha tirato per la camicia, ricordandoci lo spirito educativo, ed eccoci qua a raccontare.

 

Succede che recentemente una giuria di marcia (composta da Mirella Giancaspro, Alessandro Martellacci, Egidio Massafra e Giovanni Molè) applica correttamente e giustamente il regolamento tecnico internazionale e ferma al penultimo giro l’atleta che è in testa alla gara per 30” nella zona di penalità.

 

Succede poi che l’atleta, scontata la penalità, non faccia tesoro di questo stop (fino a un paio di anni fa la seconda opportunità non veniva offerta ai giovani su un piatto d’argento, ma scattava immediatamente la squalifica) e parte a spron battuto in caccia di chi l’ha superata con il chiaro obiettivo di far vedere a tutti che è lei la migliore, e la più forte. Insomma la voglia di vincere, quasi fosse un  impulso di un felino che caccia una preda, riesce a prevalere sulla ragionevolezza.: "Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti  ma per seguir virtute e canoscenza" diceva il Sommo Poeta.

 

Succede infine che, raggiunta colei che l’aveva superata, continua imperterrita nella sua “cavalcata delle valchirie” per fermarsi solo dopo aver tagliato il traguardo alzando con la mano destra il ditino medio in un gesto inequivocabile in ogni parte del mondo.

 

Non importa poi sapere che quella giuria, arrivata la quarta red card, abbia squalificato l’atleta subito dopo l’arrivo.

Nemmeno importa ancor più sapere a chi fosse indirizzato quel ditino medio alzato, probabilmente a quella giuria “peccatrice”, ma il suo significato è quello di aver spazzato via, con la forza della rabbia, anche gli unici ostacoli che si frapponevano al completo successo dell'atleta: il fair play, il rispetto delle regole, l’educazione e soprattutto la sportività.

 

Tre settimane fa assistemmo a La Coruna ad altri e ben diversi siparietti.

Il vincitore, Toshikazu Yamanishi, che si ferma dopo l’arrivo e aspetta il secondo, Massimo Stano.

Quando il nostro atleta arriva dopo 4”, il Giapponese si inchina e, con le mani congiunte, fa il gesto del riconoscimento all’avversario sconfitto. Stano risponde con lo stesso gesto.

Nelle donne la titolatissima Liu Hong detentrice di due record mondiali che va per prima ad abbracciare la giovanissima Glenda Morejon che l’ha battuta.

 

Ci viene infine alla mente la stretta di mano che Maurizio Damilano, dopo essersi tolto il cappellino bianco dal capo, porse ad Atene al presidente della giuria di marcia Palle Lassen (era il lontano 4.9.1982) quando quest’ultimo gli presentò a 200m dall’arrivo del Campionato Europeo la paletta rossa della squalifica, mentre era in prima posizione con un centinaio di metri di vantaggio sul secondo.

E’ questa l’educazione sportiva che vorremmo che i nostri giovani ricevessero. Un’educazione che faccia parte di un processo sportivo non solamente finalizzato al cronometro, che consideri il giudice come colui che ti aiuta a capire che si, va bene vincere, ma è ancora più importante, nella marcia, come si vince.

 

Ma si sa, per una parte dei tecnici Italiani, i giudici sono quasi sempre degli incompetenti che capiscono poco di marcia, e che quando capiscono qualcosa vogliono sempre sfogare le loro frustrazioni sugli atleti, e quando invece sono competenti telefonano troppo ad amici e non, ed infine sono sognatori.

Perchè quindi non dare una lezione a questo gruppo di prevenuti che guardano le magliette societarie prima di decidere se il contatto è visibile o meno e se lo sbloccaggio c’è o no?

Suvvia signori, se questa fosse la nostra realtà, questo sarebbe un quadro la cui visione dovrebbe farci riflettere e non ci porterebbe lontano!

Dall'altra parte della barricata poi siedono i genitori che, agnostici delle regole e delle tecniche, insegnano il verbo della marcia ai giovanissimi che non possono far altro che assorbirlo come verità assoluta.
Ed infine qualche tecnico che nel doveroso tentativo di difendere il proprio atleta, dimentica che a nostro parere, idealmente, dovrebbe essere proprio il tecnico il primo giudice dell'atleta.
In mezzo loro, oggi, si trovano i nostri Mirella Giancaspro, Alessandro Martellacci, Egidio Massafra e Giovanni Molè di turno, che non fanno altro che il loro lavoro e per di più gratuitamente.

 

Ecco perchè oggi ci schieriamo totalmente con questa giuria “peccatrice” che rappresenta per Marcia dal Mondo un pilastro invalicabile; quello dell’aver fatto rispettare la supremazia della regola che governa il nostro sport, piaccia o non piaccia.

Come non ci piace quel dirigente sportivo illuminato che minaccia di scrivere alla federazione per chiedere il perché della squalifica del proprio atleta. Dovrebbe probabilmente ricordare che le squalifiche, come i rigori nel calcio, fanno parte delle regole del gioco, e parafrasando il buon Vujadin Boskov: “Rigore è quando arbitro fischia”. 

Eh si cari amici, Dio solo sa quanto abbiamo bisogno ancora oggi delle frasi storiche di Vujadin Boskov e degli insegnamenti di Julio Velasco quando sentenziava che:
“Esistono atleti vincenti e perdenti. La differenza ? I vincenti trovano soluzioni, i perdenti cercano alibi”.

 

Grazie, cari amici giudici, magari sconosciuti ai più, di averci fatto scoprire una realtà che non conoscevamo: quel ditino alzato è anche nostro, e ci ricorderà sempre che non il buonismo non si va da nessuna parte.

Sarà per sempre il nostro tapiro d’oro che custodiremo con cura nella nostra bacheca dei ricordi.

Ecco perche “Oggi siamo tutti Mirella Giancaspro, Alessandro Martellacci, Egidio Massafra e Giovanni Molè”.

Per ricordare e non dimenticare mai.