04/10/2019   Rio, La Coruna, Doha: il fair play nasce dalla fatica comune






Lo marcia è stile, ma è anche il fair play: gli orientali, in particolare, ce lo stanno insegnando e nasce dalla fatica comune.

 

In una specialità dell’atletica nella quale il rispetto delle regole ha un peso molto elevato e dipende da un giudizio umano (e per questo non infallibile) l’atleta dovrebbe imparare assieme al gesto tecnico anche il fair-play.

Riconosciamo che questo genere di cultura è un po’ difficile da assimilare in certi ambienti.

Ma nell’atletica in generale e nella marcia in particolare questo dovrebbe far parte del “bagaglio a mano” di chi si avvicina a questa specialità.

 

Un pilastro dello stile della marcia storica e pionieristica, Giuseppe Dordoni, diceva: “E’ il rispetto degli avversari, tutti rigorosi professionisti, che dobbiamo sempre tenere a mente, oltre che ricordarci che non è importante solamente vincere, ma anche come si vince”. 

 

Il terzetto della Cina donne ci ha dato una lezione di buon gusto a Doha, come Toshikazu Yamanishi  a La Coruna 2019 aspettando Massimo Stano, l’avversario sconfitto più coriaceo e rendendogli onore.  

 

La vita di Liu Hong e Qieyang Shenjie dal 2012 ad oggi è stata costellata di alterna fortune sportive e di altrettante delusioni, ma l’abbraccio sul traguardo di Doha è stato sincero, come sincero fu quello tra Hirooki Arai e Evan Dunfee all’aeroporto di Rio de Janeiro.

 

Nella marcia sui campi di atletica e sulle strade dovremmo venir educati fino da giovani al rispetto dell’avversario ed al rapporto con i giudici: in questo sport se il verdetto è una squalifica o una sosta, ancorché lunga, nella Penalty Zone non puoi urlare in faccia all’arbitro le tue ragioni come purtroppo spesso avviene nel calcio.

Se tu, o il tuo allenatore, chiederete le motivazioni dopo la gara, certamente capirete che magari quei tre bigliettini rossi erano accettabili, il che significa rimboccarsi le maniche per il futuro. 

 

Unito al fatto che infine, tanto per dirne una, è il giudizio della giuria, oltre al cronometro, a farti capire se sei forte (Jefferson Perez diceva: “ho un ottimo rapporto con tutti i giudici, mi aiutano dove il mio allenatore ed io non ci arriviamo”) non l’allenatore, tanto meno i tuoi genitori che ti vedono a volte come un martire, e ancor meno i commenti su Facebook.