21/07/2022   Settant'anni fa Dordoni ha vinto a Helsinki






 

 

Il 21 luglio 2022 ricorre il 70° anniversario della bellissima vittoria di Giuseppe “Pino” Dordoni ai Giochi Olimpici di Helsinki 1052.
 
Marcia dal Mondo vuole omaggiare questo grande “padre” della marcia in Italia, uno degli stilisti più ammirati e amati a livello internazionale proponendo alcuni ricordi di chi era “Pino”.
Marcia dal Mondo ha chiesto a quattro persone che lo hanno conosciuto profondamente un ricordo dell’atleta, dell’uomo e del dirigente sportivo.

 

Da parte nostra vogliamo solo aprire la notizia con la prima pagina del più conosciuto giornale sportivo italiano del 22 luglio 1952.

 
 
 
 
 
 

 

Il ricordo di Maurizio Damilano (campione olimpico a Mosca 1980)

 

 

Parlare di Pino Dordoni comporta sempre il rischio di raccontarlo attraverso ricordi che non completano in modo esauriente la sua figura.

 

Raccontarlo unicamente attraverso la sua più importante vittoria, quella che lo vide entrare trionfatore nello stadio olimpico di Helsinki 70 anni fa, sarebbe chiuderlo in una parentesi.

Pino è stato molto di più di un grandissimo atleta, un tecnico attento e un dirigente appassionato.

 

Pino è stato una guida, un riferimento, un punto fermo per generazioni e generazioni di marciatori, allenatori, dirigenti, organizzatori, insomma, di quel mondo che è la gente della marcia.

Lo è stato anche per noi: i tre fratelli Damilano.

E’ stato prima un mito, poi un maestro e soprattutto un amico.

 

Raccontare Pino attraverso i tanti aneddoti che lo riguardano sarebbe quindi assolutamente riduttivo. Sarebbe raccontare un padre riferendosi unicamente a ciò che ha insegnato dimenticando tutto ciò che ha lasciato come impronta nella vita dei figli.

 

E’ stato un maestro di vita. Il suo rigore e la sua fermezza a volte lo facevano passare per burbero, ma in fondo sono stati la cifra di ciò che ha seminato e raccolto, dell’idea di far crescere prima delle persone, degli uomini e delle donne che dei campioni.

 

Ci sono momenti della nostra relazione indimenticabili per ciò che poi è stato il nostro percorso sportivo. Da lui, tutti e tre, abbiamo bevuto alla fontana del sapere di questo mondo fatto di correttezza e di attenzione, di conoscenze e relazioni, di mediazione e accettazione, ma soprattutto di coerenza con la storia della disciplina: complessa ma carica di passione come poche altre.

 

Ed è proprio nel saper sempre unire tradizione a modernità che Pino è stato artefice della crescita del settore che ha guidato con rigore e passione per tantissimi anni.

 

E’ sempre stato un “purista” del gesto tecnico, ma non romanticamente antico. Ha saputo camminare negli anni e nei cambiamenti che la marcia ha avuto dal punto di vista tecnico e stilistico, sapendo sempre unire con coerenza i due aspetti. 

Non amava la “brutta” marcia, quella che andava oltre limiti accettabili, cambiandone la filosofia stessa, ma nello stesso tempo sapeva cogliere e supportare una modernizzazione che la vedeva divenire più dinamica e veloce.

 

Non sappiamo se amerebbe molto i cambiamenti avvenuti in questi quasi 25 anni di sua assenza, ma siamo certi che troverebbe motivi e spunti perché la sua amata marcia continui ad essere centrale  nel sistema atletica. 

Siamo certi guarderebbe avanti come sempre, ma senza dimenticare che le radici non possono essere spezzate.

 

Maurizio Damilano

 

 

 
 
 
 
 
 

 

Il ricordo di Franco Bragagna (la voce dell’atletica per la RAI-TV  a Sapporo 2021 e Oregon 2022)

 

 

Quella volta che Pino Dordoni ed io abbiamo giocato a pallavolo a Praga. 

 

Sì, in senso figurato, si capirà il perché. Era più beach-volley che aveva appena mosso i primi passi olimpici (pochi mesi prima, ad Atlanta), beach-volley perché giocammo in coppia.

 

Praga, la sera di venerdì 18 aprile. Ricevimento ufficiale nel Salone d'Onore del Municipio della capitale della Cechia. Pino la chiamava Cecoslovacchia, forza dell'abitudine, ma si correggeva sempre un attimo dopo …

Pino, che bella persona che era: se ne sarebbe andato da questo mondo, non esattamente marciando tacco-punta, un anno e mezzo dopo nella sua Piacenza.

Che stile quell'uomo, quando marciava e anche quando conversava amabilmente, la preferenza per l'amato gesto tecnico che più di lui nessuno (al massimo quanto lui) aveva reso nobile. 

Non solamente quella volta settant'anni fa quando nella capitale della Finlandia diede lezione di forza, non solo di stile, mettendo tutti in fila ... 

Proprio a Helsinki il punto più alto. Fuori dallo stadio arrivò con qualche ciuffo fuori posto e dentro lo stadio perfettamente pettinato: l'aveva "pizzicato" nell'atto di sistemarsi i capelli con un piccolo pettine un documentario della tv tedesca (fonte-video e non solo Piergiorgio Andreotti - marciatore romano - e il suo archivio).

 

In quel salone bellissimo di Praga si era a cinquanta chilometri giusti da Podēbrady (Cechia), dove nel pomeriggio successivo sarebbe cominciata la coppa del mondo di marcia, l'equivalente di un campionato mondiale per nazioni, l'antico "Trofeo Lugano" che in Svizzera s'erano inventati trentasei anni prima. 

Cinquanta chilometri giusti o quasi, tanto che dal limitare della capitale al centro della cittadina da quindicimila abitanti per anni si organizzò la mitica Praha-Podēbrady, cinquanta chilometri di marcia. 

Bei tempi quelli: allora la distanza olimpica lunga della marcia era proprio la cinquanta, come del resto a Helsinki '52. 

 

Dordoni allora e la partita di pallavolo di cui sopra. Un attimo ancora ...

Nel salone d'onore del Municipio della capitale un mare di gente e tanti vip e super-vip invitati da Primo Nebiolo, presidente dell'allora IAAF per altri due anni e mezzo, fino alla sua morte. 

Sto chiacchierando amabilmente di marcia con Pino e con altri giornalisti quand'ecco, seguita da un lunghissimo codazzo, una coppia. Apparentemente austera, la coppia; in realtà affabili, sia lei che lui. 

Scorgono Pino e lo salutano con deferenza... 

"Uuuuh!", un sussulto il mio: Emil Zátopek e di conseguenza lei è Dana, la moglie giavellottista. 

Si fermano per un paio di minuti con Pino, del resto colleghi: sono tutti campioni olimpici! 

Zátopková e Zátopek, moglie e marito, saranno i grandi protagonisti della serata. C'è già la coda, solo per scambiare un saluto con loro.

Una ventina di minuti dopo si fa ingolosire il giornalista che alberga in me: l'idea è quella di scambiare quattro chiacchiere con la (non) austera coppia morava per aver notizie di qualche episodio in più da usare durante le lunghe telecronache. Impresa ardua, anzi 'mission impossible'!

 

E invece no, qui comincia in senso figurato la partita di beach-volley in coppia con Pino. Prima la mia risposta in “bagher”, poi Pino a palleggiare (strano, di solito era quello il mio ruolo) e io a schiacciare.

Zatopek mi vede, si ricorda di avermi visto con Dordoni minuti prima, mi permette di passare davanti a un sacco di persone e - magia del beach-volley - eccomi a parlare di giavellotto con Dana e di mezzofondo con Emil, di storia e di storia dello sport e dell'atletica con entrambi. 

Un accenno timido - ma solo mio, perché colgo un pizzico di fastidio nei loro volti - alla Primavera della capitale cecoslovacca (allora era proprio Cecoslovacchia) e ancora avanti a parlare di atletica e di vita. 

Zátopek mi chiede da dove io provenga. Gli rispondo Italia e Dana ed Emil l'avevano intuito, mi avevano scorto accanto a Pino Dordoni. Ma poi vogliono sapere anche da dove. E rispondo parlando della mia cittadina, Bolzano/Bozen, non tanto più grande di Podēbrady ...

"Ah, ma allora lei parla tedesco” - mi dice Zatopek in tedesco. E senza attendere la mia risposta continua parlando in un eccellente tedesco. Del resto Emil, che sarebbe morto tre anni e mezzo più tardi a settantotto, parlava cinque o forse sei lingue. Abbiamo continuato a parlare tedesco, la mia seconda lingua, per quasi altri cinque minuti, dieci in tutto. Solo vicini al commiato capii che Dana era un po' indispettita, quasi scocciata: non conosceva il tedesco e avrebbe preferito continuare in inglese. Ci facemmo tutti e tre una risata sulla storia degli uomini prevaricatori. E lei scherzando, anzi forse no, disse che a casa comandava lei!

Dana lancia dardi nel Paradiso dell'atletica da marzo 2020: se ne andò proprio ad inizio pandemia e non per questa ragione, a novantasette anni e mezzo...

 

Grazie, Pino: “bagher”, alzata e schiacciata vincente! O assist tuo, se credi: com'era bello chiacchierar con te, non solo di marcia! 

Settant'anni dopo pronti ancora doverosamente a parlare e a scrivere di te e soprattutto di quella volta là, quella di Helsinki ovviamente, non della capitale "ceco-slovacca"...

 

Franco Bragagna  

 

 

 

 
 
 
 
 

Pino Dordoni nel ricordo di Guido Alessandrini (giornalista sportivo e commentatore televisivo RAI-TV)

 

 

Con Pino era una questione tra famiglie. Per una volta la metto sul personale perché la storia è antica e coinvolge lui e tre generazioni della mia, di famiglia.

 

Nasce tutto molto prima che sapessi chi era il Cavalier Dordoni (che poi era Commendatore, a ben vedere), un pomeriggio dei primi anni Sessanta passato a vedere un film con mia madre, quand’ero un bimbo. Sullo schermo c’è il Cinegiornale, come un tempo succedeva, e la sigla della sezione “sport” comprende un breve filmato due signori che marciano in pista. L’indifferenza mia s’interrompe all’improvviso: “Ma guarda, c’è Pino! Sempre elegante...”.

 

Ecco, il battesimo con lui, ma anche con la marcia (e anche in questo caso ben prima di sapere che tutti e due - Dordoni e la marcia, appunto - sarebbero diventati anche un capitolo importante del mio lavoro) è capitato in quel pomeriggio.

 

La spiegazione della prima parte della storia è semplice: Piacenza. È stata la casa di mia nonna e di mia madre per parecchi anni, a cavallo della guerra. E lì hanno conosciuto quel ragazzo magro, lungo “e così educato...”, raccontava la nonna. La quale, vedova, arrangiava un misero stipendio occupandosi di una lavanderia. Lì arrivò il giovane atleta che ogni giorno aveva assoluto e imprescindibile bisogno di indumenti puliti. “I calzoncini dovevano essere candidi, lavati di fresco e anche perfettamente piegati per il giorno dopo. Ma soldi non ce n’erano, e allora li portavo a casa e glieli stiravo gratis. Sai, ci teneva a essere sempre in ordine”.

 

Non a caso chiese un pettine a pochi chilometri dal traguardo dello stadio di Helsinki, prima di vincere l’oro olimpico che in questo 2022 - 21 luglio - celebra i 70 anni. Doveva essere impeccabile anche lì. Ovviamente.

 

Pino era nato il 28 giugno 1926, coetaneo di mia madre e amico di lei – non molto più di qualche chiacchierata, presumo - quand’erano adolescenti. Quando poi ho cominciato a scrivere di atletica e a frequentare i marciatori, lui e i miei mi “usavano” per salutarsi a distanza. E ogni volta mi abbracciava: “Ciao piacentino”, anche se io piacentino non sono mai stato. Con qualche racconto di mia nonna su quel periodo: “Era un ragazzo tutto d’un pezzo. Coerente. Con la schiena dritta. I tedeschi pretendevano che abiurasse, ma lui ha rifiutato. L’ho visto con i miei occhi e sentito con le mie orecchie”.

 

Ho verificato alla fonte, cioè parlandone con il Cavaliere: “È vero. Volevano che facessi una cosa che non mi andava. Ho rifiutato. Io non tradisco, non giro la giacchetta per convenienza”.

 

Lo raccontava così, semplicemente. Con quella sua “erre” strana e arrotolata, quell’accento tutto suo, quell’umorismo che ogni tanto scivolava nella satira e quel saluto rituale (“Addio!”) che provocava scaramanzie assortite.

 

L’ho ritrovato, anzi conosciuto, seguendo Maurizio Damilano (il mio primo servizio da inviato neo-assunto di Tuttosport è stato a Scarnafigi, il giorno dopo l’oro olimpico di Mosca 1980) che poi mi ha raccontato quanto sia stato importante per lui Dordoni in quegli anni.

 

Infine è riemerso poche settimane fa, quando sono andato a trovare Giusy Leone: “La mia prima Olimpiade è stata a Helsinki. Ero una ragazzina e nemmeno mi sono accorta che il viaggio era interminabile. Anche perché con noi c’erano i miti dall’atletica: Consolini con le sue manone e quel simpaticone di Pino Dordoni, che non smetteva mai di raccontare...”.

 

Di quel che ha fatto Dordoni in cinquant’anni da atleta e da dirigente diranno altri. Il penultimo ricordo di lui sono poche battute dal Palasport di Genova, nell’inverno del 1989, con il telefonino di Vittorio Visini che l’aveva chiamato in ospedale: “Pino, cosa mi combini?”

“Ciao piacentino. Devo stare qui per un po’, ma non mollo. Quando esco ci vediamo”.

La voce era un filo. Non l’ho più sentita.

 

Guido Alessandrini

 

 

 

 
 
 
 
 

 

Il ricordo di Piergiorgio Andreotti (atleta azzurro di marcia)

 

 

Siparietto “pre-olimpico” 1952

 

Quella meravigliosa giornata del 21 luglio 1952 nella quale Pino Dordoni vinse la 50km di marcia alle Olimpiadi di Helsinki, a pochi metri dalla porta di maratona dello stadio olimpico, ebbe luogo un simpaticissimo siparietto extra sportivo.

 

Da uno spezzone di pellicola di un documentario della televisione tedesca, dedicato a quell’edizione dei Giochi Olimpici, si vede Pino Dordoni, nettamente in testa alla gara, ricevere da una persona diritta in piedi su un’auto decappottabile al seguito, un pettine che il futuro Campine Olimpico usa immediatamente per sistemarsi i capelli.

Dordoni ricordava benissimo l’episodio (e ci sorrideva sopra), ma non aveva mai visto una documentazione di tale suo inimmaginabile vezzo.

 

Quando, molti anni dopo, gli venne mostrato il breve filmato da comuni amici e venne sollecitato a raccontare a chi avesse chiesto il pettine, Pino confessò di averlo ricevuto dal giudice di gara della Svizzera, Armando Libotte, che in quell’occasione operava come Presidente della Giuria di marcia nella 50km.

 

Armando Libotte era stato in gioventù un famoso marciatore negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, poi un giornalista sportivo molto conosciuto e uno dei più illustri giudici internazionali di marcia. Per molti anni è stato anche il leader del SAL Lugano e l’ideatore del Lugano Trophy che, nato nel 1961, è considerato il precursore dell’attuale Campionato Mondiale di Marcia a Squadre.

Piace ricordare che Pino Dordoni è stato per oltre 25 anni il Team Leader della squadra nazionale Italiana.

 

Questo breve siparietto conosciuto nell’ambiente come “il pettine di Helsinki” ci dice tutto sul grande stile di Dordoni, non solo nella tecnica di marcia, ma anche nei rapporti con “chi sta dall’altra parte”: insomma un grande maestro di vita. 

 

Piergiorgio Andreotti

 

 

 

Videoclip of the race